La recente ripresa dell’«Edizione Nazionale» e la parallela riscoperta di manoscritti mancanti danno l’occasione per ridefinire la figura e l’opera di Giovanni Verga (1844-1922), caposcuola del verismo. Verga è stato testimone – solo all’apparenza distaccato – di quasi un secolo di vita dell’Italia, dall’impresa dei Mille fino alla Grande Guerra. Come scrittore ha attraversato le correnti e i generi fondanti della letteratura otto- novecentesca: dal romanticismo al decadentismo, dallo psicologismo al verismo, trasfondendo una vena di simbolismo in romanzi (storici, mondani, veristi) e drammi (“intimi” o rusticani), spingendo lo sperimentalismo fino alle sceneggiature cinematografiche. La sincronia di testi apparentemente incompatibili – come Storia di una capinera ed Eva, I Malavoglia e Il marito di Elena, Cavalleria rusticana e In portineria, Caccia al lupo e Caccia alla volpe – si giustifica con la volontà tenace di rappresentare l’universo sociale coevo con una forma di volta in volta inerente al soggetto, ma pure con la condizione tutta ottocentesca di scrittore-romanziere professionista che si adegua al mercato editoriale. Al centro di questa ricerca vi sono la lingua e lo stile: Verga si fa traduttore e interprete del sentire dei suoi personaggi ora con il mirabile italiano regionalizzato dei capolavori, ora con l’italiano chiaroscurale dei testi intimisti. Scrittore classico e moderno, “maestro d’arte” dei confratelli veristi, italiano appassionato del proprio Paese: la lettura integrata di opere discordi ma scritte “in parallelo” conferma la fedeltà di Verga a se stesso, che fu anche la sua cifra di uomo e di artista. A ogni suo atto può applicarsi l’assertiva difesa dei Malavoglia: «Quel libro lo farei come l’ho fatto».

Gabriella Alfieri

Gabriella Alfieri insegna Storia della lingua italiana e Linguistica e didattica dei testi nell’Università di Catania, e presiede il Consiglio Scientifico della Fondazione Verga e il Comitato per l’«Edizione Nazionale delle Opere di Giovanni Verga».