Mario Pazzaglia

Pascoli

Giovanni Pascoli (1855-1912) o la poetica dei morti, dei cari estinti, del nido infranto: è questa, più o meno, l’immagine che del grande poeta romagnolo vive tuttora nella maggioranza dei suoi lettori, questa la sua voce più nota e studiata (e non solo a scuola), più “facile” e vulgata.
Mario Pazzaglia, invece, intende offrire del Nostro un ritratto più completo, che ne illustri i multiformi interessi, artistici e non, delineando al contempo l’evoluzione della sua poetica nel tempo. La poesia italiana e latina, dunque; ma anche la prosa, dal “Fanciullino” ai saggi danteschi, leopardiani e manzoniani; le più imporanti antologie italiane e latine; gli scritti etico-politici, che, pur nei loro limiti ideologici, conferiscono al poeta un posto di rilievo nell’ambito del socialismo nazionalistico italiano, fra guerra di Libia e prima guerra mondiale. Una rilettura organica, pertanto, attenta alla grande invenzione formale che colloca con pieno diritto Pascoli in ambito proto-novecentesco, ma anche ai suoi sviluppi ideologici culturalmente innovatori. E, in questo quadro, va sottolineato con forza il legame del poeta con il Simbolismo europeo, pur se avvicinato con autonomia e originalità, nonché con le proposte di maggior interesse del Positivismo coevo: dalla ricerca psicologica all’antropologia culturale.
Un messaggio, quindi, ampio e articolato, ben lontano dalla vulgata opinio del “poeta delle piccole cose”. Le piccole cose, semmai, sono viste nel loro sempre inedito ricostruirsi nella coscienza e nella parola, al di là di ogni “modello” storico precostituito; nella coraggiosa accettazione della morte e dell’effimero; nella fondazione di una nuova “democrazia”, che apparenta in pari digità esistenziale e poetica l’esile stelo e i mondi infiniti.